Il metodo Balint, una pratica salvifica (C. Meloni)

Quando il gruppo si ritrova nella stanza con i suoi membri disposti in cerchio, il centro è vuoto; alla domanda del leader ”di cosa vogliamo parlare stasera?” nel centro del cerchio prendeva forma lentamente il racconto. A turno e secondo il proprio stato d’animo un medico racconta il proprio incontro con uno o più pazienti. La narrazione è seguita da tutti in assoluto silenzio, nel vuoto iniziale si plasma la scena, la visita medica, lo stato d’animo del medico narrante, il vissuto del paziente; il quadro è arricchito dai particolari delle anamnesi, degli incontri precedenti, dalla conoscenza dei familiari, dal contesto sociale, in sostanza dalle storie di vita che accompagnano ogni singolo individuo. Talvolta il racconto è così partecipato che sembra reale la presenza dell’incontro narrato, il centro si affolla di personaggi, situazioni, emozioni, al termine del quale segue qualche minuto di silenzio indispensabile per riordinare le idee, allora possiamo chiedere a chi ha raccontato di chiarirci meglio alcuni punti, di avere ulteriori informazioni che permettano di capire le dinamiche della relazione. Ci vuole tempo…tempo per sentire e fare proprio fino in fondo quello che abbiamo ascoltato, tempo per capire l’emozione che ha generato, tempo e spazio dentro ognuno di noi.

Il collega che ha proposto il caso, adesso rispetta il silenzio del gruppo, attende che a turno ogni membro esprima il suo punto di vista.

Adesso siamo pronti, vogliamo provare a capire cosa è successo, perché ce l’hai raccontato. Cos’è veramente accaduto in quell’incontro? Chi chiede? Cosa chiede? Perché lo chiede proprio a te, che sei il suo medico e non ad un altro?

Proviamo a fare ordine, d’altronde siamo medici e il rigore scientifico ci insegna una logica precisa attraverso la quale giungere all’evidenza dei fatti, alla loro inconfutabilità, ma c’è qualcosa che sfugge, c’è qualcosa che non appartiene al metodo scientifico, e sembra che quel qualcosa di imponderabile sia proprio tu, la tua persona, il tuo peculiare modo di essere e di essere medico. Discutiamo animosamente del tuo racconto, di te, del paziente, della vostra relazione, del perché siete arrivati ad essere il centro del nostro gruppo questa sera. E’ faticoso talvolta guardare con altri occhi, illuminare zone d’ombra, percorrere altre vie, tante cose non abbiamo capito, tante opportunità ci siamo persi, ma ora siamo qui con te, abbiamo piacere di stare meglio insieme, intanto il silenzio ha preso forma e ha detto la sua. Ci guardiamo con luce nuova, il sorriso si schiude sulle labbra, non ci sono traguardi, non giudizi, non maestri, ognuno ha percorso una via, il cerchio è sempre lì, il suo centro è ora leggero, si svuota lentamente per accogliere nuovi racconti e nuovi dottori.

Per capire appena cosa genera il metodo praticato nei Gruppi Balint, bisogna semplicemente…provarlo!

Questo mio breve scritto vorrebbe accompagnarvi a partecipare alle nostre serate, perché si può lavorare come medici sentendosi compresi come esseri umani e come tali imperfetti, limitati, ma disponibili al cambiamento, alla crescita personale e professionale.

Difficile valutare con oggettività questo percorso, non esistono test o indici di progressione, ognuno sente e vive la propria trasformazione (essendone il protagonista). I colleghi del gruppo partecipano e contestualizzano il cambiamento e il gruppo stesso si plasma sul vissuto di tutti. La figura del leader è certamente di primaria importanza, perché funge da guida, utile e sapiente, indica la via, non impone, non giudica, ma è silenziosa presenza, vigile padre che conduce, la sua esperienza è per il gruppo un porto sicuro, e come tutti i porti accoglie e lascia chiunque passa.

Questi anni di frequentazione sono stati per me fonte di arricchimento umano, la capacità del gruppo di completare e di accogliere i miei limiti mi ha fatto star bene da subito, il mio lavoro è sempre stato lo stesso, ma sono io ad essere cambiata: quando un paziente mi preoccupa, cerco di cambiare posizione e mi siedo accanto a lui, non c’è scrivania o lettino che ci separi, siamo molto vicini e ho voglia di incontrarlo, allora capita che lui sorrida un po’ meravigliato ma prontamente si confida e comincia il suo vero racconto.

Ringrazio con questo semplice intervento i colleghi che hanno preso parte agli incontri e tutti quelli che in futuro vorranno condividere questa esperienza.

Cristina Meloni
Medico Medicina Generale
3 febbraio 2010

 

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